No violence against women.

Un mese fa davanti a “Le tentazioni di Sant’Antonio” di Domenico Morelli, che è in collezione alla Galleria Nazionale di Roma, un amico mi disse “eccolo lì, sono 3000 anni che la donna viene considerata come una puttana, tentatrice”. Gli ho ringhiato contro, come mio solito, perché quel quadro mi ricorda cose dolcissime dei tempi dell’università. Ho provato anche a replicare, ma non avevo buone teorie.

Ieri poi ho aperto il Corriere della Sera e mi sono trovata di fronte alle facce delle 115 donne ammazzate nell’ultimo anno. Pallini verdi e rossi distinguevano chi era stata uccisa dal compagno/marito/padre, chi per eventi accidentali.
Ma sono 115. Madri, sorelle, giovani, meno giovani. Uccise sempre in maniera violenta, sgozzate da fidanzati, con proiettili che sono sempre in numero maggiore di tre. Mi è tornata in mente quella scena davanti a Morelli.
E le idee sono arrivate in fretta.
Penso che solo nel 1981 l’Italia ha tolto dal Codice penale l’articolo 587 che diceva sostanzialmente questo “Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.”

Noi donne sembriamo sempre sotto tutela, passate dal padre al marito, come persone incapaci. I posti “decisionali” sono sempre pochi, anche quando occupati, sembrano appartenere a due categorie: le bellone e le donne sempre un po’ sciupate, mascoline, un po’ bruttine.
La donna media, pare non esistere.
In Italia ci sono ancora posti dove la donna non è nemmeno considerata pensante, anzi, la donna è un puro strumento buono per figliare. In Italia si pratica l’infibulazione fra le piccole immigrate. In Italia la donna è buona per fare porno, fare figli, fare la suora, fare la madre, essere uccisa.

Queste uccisioni – che il termine femminicidio specifica ma isola, le ghettizza, è una parola che specifica un genere ma è brutto quanto almeno il crimine che indica – sono quasi giustificate. Gli uomini si sentono traditi, lasciati, morti dentro, arrivano a non elaborare un abbandono e uccidono, come a prendere possesso di quel corpo. Qualcosa che sta solo sopra allo strupro. Prendere con forza qualcosa che non ti appartiene:una donna.
E l’impunibilità successiva è disarmante.
Per un periodo la stampa non ha fatto altro che parlare di queste donne uccise. Era la moda giornalistica del momento. L’opinione pubblica si indigna, compaiono fiocchi rosa sulle giacche, sui profili di Facebook poi… niente.
Una soluzione non c’è.

Poi ci sono persone come Maria Anastasi, incinta di nove mesi, ammazzata e bruciata dal marito e dalla sua amante, Stefania Cancelliere uccisa davanti al figlio col mattarello da un marito denunciato per stalking, Alessandra Sorrentino uccisa con le forbici piantate nello stomaco, Raachida Lakhdimi soffocata con del nastro adesivo dal marito che poi l’ha messa in un sacco nero della spazzatura perché tanto per lui era, Samantha Comelli uccisa dal cognato convinto che fosse lei la causa del matrimonio fallito e come dimenticarsi di Carmela Petruzzi, che ha salvato la sorella dal fidanzato che viveva “alienato” dal mondo credendo solo a quello che passava su Facebook (e la sorella si è persa tante coltellate in tanti posti del corpo che saranno pari ai tagli dell’anima che avrà adesso che ha scoperto di essere rimasta sola, senza sua sorella).

Queste donne sono solo alcune delle vittime, queste donne non ci sono più.
Sono quelle i cui nomi sono noti, poi ci sarà un altro mondo, quello che non viene scritto sui giornali. Le violenze domestiche e gli stupri, le aggressioni, le donne vittime di stalking. Gli uomini che sembrano ignorare le restrizioni imposte da una legge che sulla carta pare funzionare bene.

Ci sono le donne e le piccole angherie quotidiane: scippi, persone che le reputano incompetenti, capi che allungano le mani, mariti che nella quotidianità le stalkerizzano magari per nulla.
Bambine picchiate. Bambine in strada a mendicare. Prostitute bruciate, sezionate, umiliate. Quelle che incontro mentre vado a lavoro, sfatte, cotte dal sole in estate, morte di freddo in inverno. Uomini che si fermano in giacca e cravatta, sulla mitica Strada Statale 148 Pontina, uomini d’affari, padri nobili di famiglia che prima di tornare a casa si fermano per un “pompino antistress”. Me li immagino a casa, felici. Baciano moglie e figlia. Loro sono altra specie. Eppure tutte abbiamo due tette, un utero, due ovaie, il ciclo. Tutte amiamo i trucchi, i vestiti, le scarpe. Siamo accumunate da cose stupide, dalla natura. Le donne sono di più degli uomini ma contano meno di tutto.

Veniamo ridicolizzate quando portiamo la macchina (il mio vicino che mentre parcheggio mi vede, ride, e dice che sono “insicura” e vuole evitare danni alla sua nuovissima macchina, sempre inversamente proporzionale al cervello e membro; peccato che ho 12 anni di patente e gli incidenti fatti sono stati sempre causati dagli altri) quando facciamo qualcosa per cui gli uomini sono “specializzati”.
Gli stessi uomini di cui sopra si vantano spesso di essere signori, ma finora io ne conosco solo due che mi aprono la porta e mi cedono il passo. E resto stupita quando mi versano l’acqua nel bicchiere (uno) o aprono lo sportello della macchina (sempre uno).

Questi uomini si vantano di tutto, dall’educazione alla prestazione. Spesso sono figure ridicole, parvenze d’uomo, educati da padri spesso bestie, che gli hanno tramandato la bestialità.
Sono figlia di una donna che per un uomo ha smesso di lavorare, ha cambiato città, ne è dipendente e succube. Quest’uomo, mio padre, è stato educato da un uomo, mio nonno, educato a concepire le donne come oggetti. Mio padre ha ripagato l’amore di mia madre nel modo peggiore. Mia madre lo venera.
Io mi sono detta che non farò mai la stessa fine.
Mi sono ispessita, sono diventata mascolina, crudele, ho un cilicio stresso al fianco e non me ne libero. Perché la mia vita è complicata, sull’orlo della crisi perenne, sono talmente complicata che chi mi sta accanto è un uomo paziente e buono.
Diverso da mio padre.

L’Italia è il paese della Madonna Vergine che ha partorito inseminata da un essere sovrannaturale. L’Italia è il paese de “la mamma è sempre la mamma”, della cucina di mamma, di amore di mamma. Hanno tutti una grande opinione di mamma.

Ma è anche il paese che ha abolito il delitto d’onore nel 1981, dopo i referendum sull’aborto e sul divorzio, molto tempo dopo. E’ anche il paese col numero di “ginecologi obiettori” più alto. perché l’aborto, cazzo, è contro Dio.

L’Italia è il paese dove a breve si passerà dal delitto d’onore a quello d’amore con attenuanti tipo “hai ammazzato una donna?! Fa nulla era una donna”.
Dove una donna non potrà mai abortire in maniera legale e sicura, perché non è capace di decidere, dove lo stalking è lecito e giusto se sei stato mollato.

Io nel frattempo mi adeguo.

Ciao B, ciao.

Mi piace ricordare, a chi voterà Silvio, che grazie alle sue leggi ha beneficiato della prescrizione per 7 processi: Lodo Mondadori (corruzione), All Iberian (finanziamento illecito ai partiti) Consolidato Fininvest (falso in bilancio), Bilanci Fininvest (falso in bilancio), Bilanci Fininvest 1988-92 (appropriazione indebita e falso in bilancio) Lentini (falso in bilancio), Caso Mills (corruzione), due invece quelli che l’amnistia gli ha salvato il sederino d’oro: falsa testimonianza e acquisto delle terre di Macherio, infine è stato assolto perchè il fatto non è più reato, ossia per All Iberian e SME-Ariosto.

A 77 anni, è ritenuto un delinquente incallito, dice che la Merkel e Sarkozy lo hanno umiliato con quei sorrisetti (come dimenticare l’ampio gesto di apprezzamento vedendo quella tanta abbondanza giunonica di Michelle Obama) e che lui è sempre in guerra coi Presidenti della Repubblica, e non parliamo poi della magistratura, dell’IMU, di Equitalia, del Fisco, e poi, porcocazzo, lui vuole usare il telefono!

Scende in campo per te, me, lui, lei, l’altro: perché c’è la magistratocrazia, i cittadini hanno problemi con la giustizia ingiusta, perseguitatrice di poveri uomini onesti.
Scende in campo, ancora, per riformare la giustizia, per NOI.

Ora: solo io ho il vago sospetto che lo faccia, ancora, perché se non prende le redini del cavallo che fa le leggi, lui, va in galera davvero?! No perché io il cellulare lo uso, e anche se mi intercettassero, sentirebbero cose normali, non ho problemi con la giustizia perché faccio il mio dovere da cittadina e pago anche l’IMU.

E così, tanto per dire, a me mica va di avere come mio rappresentante uno che il fisco lo vuole fottere. E vuole fottere anche noi.

I’m Choosy

I’m Choosy, quando il mio direttore editoriale paga a spizzi&menozzi e io faccio ripetizioni per pagare le bollette e l’estetista e il libro che mi salverà dall’abisso della TV
I’m Choosy, quando a 18anni andavo a pulire i cessi, senza manco pensare a quello che stavo facendo.
I’m Choosy, quando da Roma vado a Napoli, aggratis, col Treno dei Matti, per fare il mio lavoro aggratis per un futuro migliore, pure se non mi reggo in piedi.

I’m Choosy, quando invece di andare a letto, correggo un pezzo di una collega e amica, perché lei è in difficoltà.

I’m Choosy, quando metto sulla bacheca del Conad “Simpatica 32enne con anni di esperienza impartisce ripetizioni a bambini delle elementari” per pagare magari anche la benzina.
I’m Choosy, quando, per scrivere e leggere, farei anche la cassiera alla Coop.

Cara Ministra Elsa Fornero, io una cosa la voglio sapere: quando avevi la mia età, eri Choosy anche te?!
E tua figlia è stata Choosy?

Ci avete chiamato Bamboccioni, Choosy, ci dite che siamo disoccupati, che se a 28anni non siamo laureati siamo dei falliti, ci chiedete scusa, perché ci avete scippato la nostra generazione.
C’è che io Choosy non lo sono mai stata. E mi girano i coglioni.
Ma grazie a te, Elsa, so una nuova parola.
Choosy.
Grazie, Elsa.

Andare a cogliere le olive a Bitonto

Prendete 4 ragazze giovani simpatiche e carine – una giornalista appassionata di cronaca nera e cadaveri, una photo editor appassionata di reportage sociale, un’addetta a montaggio e produzione video, una che si occupa di diritti e integrazione – mettetele dentro la libreria Arion al Palazzo dell Esposizioni di Roma, davanti a Mario Sechi. Che dice, in tranquillità e onestà, che l’Italia è afflitta da una cosa che si chiama “Gerontocrazia Democratica” e ti fa pensare in un lampo che Berlusconi nel 2013 si ricandiderà, ancora, e che avrà 77 anni. E se li porterà benissimo. Sechi, che la photo editor reputava una Bestia Nera, fa un rapido confronto con gli altri “Leader” europei e non: in media, 50anni, giovani, istruiti, sposati, forse monogami.

E’ lanciatissimo, Sechi, nel dirci che la politica noi giovani ce la dobbiamo prendere e che siamo un po’ troppo delicatucci e rifiutiamo spesso lavori “degradanti”. Ecco, è così che quando dice “io a 14anni andavo a lavorare in campagna”, a me e Pamela ci è venuto in mente che possiamo mollare gli anni di studio, la fatica, le foto io e i tagli ai “I menù di Benedetta” lei, e andare a raccogliere le olive a Bitonto.

Ero partita con le migliori intenzioni di scrivere un post su quanto noi giovani siamo disperati e davvero afflitti ma non ce la faccio proprio.

Vi dico solo che andremo a raccogliere le olive a Bitonto. E pure a Molfetta.

Prima Difesa. Di chi?

Li vorrei vedere i documenti che Simona Cenni e altra gente definisce fondamentali per chiarire – se di chiarezza possiamo parlare – che i 4 poliziotti che hanno malmenato Federico Aldovrandi, 18anni, sono innocenti e hanno fatto “il loro lavoro”.
C’è un’autopsia e 3 gradi di giudizio, nel frattempo questi documenti in ogni caso non sono mai stati pubblicati e lì allora ti viene da pensare al marcio.
C’è che due manganelli spaccati addosso a un ragazzo di 18anni li tolleri male.
Specie perché non si trattava di uno stadio pieno di Ultras.
Ma di quattro poliziotti e un ragazzo.
Quattro poliziotti fra cui una donna.
Vorrei ricordare che Fedrico è morto per “asfissia da posizione”, torace sull’asfalto e poliziotti sulla schiena.
Questo post è scritto da una figlia di militare che non ha mai patito le regole militari e a cui è stato insegnato che due cose vanno protette: i diritti e i deboli.
Porto rispetto per le forze armate e spesso penso che siano pagati troppo poco per un lavoro e un compito così carico di responsabilità e di pericoli. Io me li vedo quelli allo stadio, con un’uniforme da niente addosso, un dio che si chiama Tonfa, rapporto di un poliziotto per 10 ultras. E penso che nella loro testa c’è la voce della figlia, del figlio delle fidanzate, che risuona e che il loro pensiero sia “voglio tornare a casa” perché sono uomini oltre che poliziotti.
Sono uomini in divisa. Non bestie in divisa.
Perché se TU picchi un ragazzo di 18anni e scrivi che la madre ha allevato un cucciolo di maiale, penso anche a tua madre ed a che tipo di bestia ha allevato.
Quando leggo A.C.A.B, quando lo sento in bocca a ragazzini di pochi anni che non sanno nemmeno cosa vuol dire, mi ribolle il sangue.
Credo che sulla Diaz non si sia fatto chiarezza e che Placanica era un ragazzetto troppo fragile per stare in quella camionetta e che deve aver avuto paura e che Carlo Giuliani non è un martire, nemmeno un santo, nemmeno una bestia. Era un ragazzo come Placanica.
Solo che stava dall’altra parte.
Penso che a Genova gente si è allordata non solo la divisa ma anche l’anima e che chi stava sopra ha fatto danni che chi stava sotto non poteva fermare.
Tacciatemi di essere una fascista, me ne frego.
Solo che qui si tratta di persone che non sono tornate a casa: Federico, Giuseppe, Stefano. Solo per dirne 3 che sono finiti almeno in terza pagina.
Se muore nel sonno un detenuto a Regina Coeli, se un altro si stacca i lobi e li mangia a Viterbo, se altri si impiccano, se lo stato non riesce a rieducare, correggere e proteggere chi ha sbagliato allora non siamo in uno stato democratico.
Se non istruisci le Forze Armate a una cosa chiamata “moralità”, non sei uno stato.
Perché le nostre “Forze” Armate sono spesso composte da gente che per “sbancare” la vita del paesello se ne va a fare “il militare” perché il 27 lo stipendio arriva sempre e se vai in missione ci guadagni di più e allora manca una cosa che si chiama “moralità” e un’altra che sia chiama “vocazione”.
I soldi sono il motivo principale, la sicurezza viene dopo, e molto dopo ci sono quelli che ci credono e me li immagino a casa, disperati dopo troppe ore di lavoro.

Perché è un carico che ti porti appresso quello che vedi in mezzo alla strada, quando vai a vedere ragazzi morti per strada, donne sfruttate, gente maltrattata, e che torni a casa e vedi tua figlia, tuo figlio, tua moglie o tua madre e pensi solo “Cazzo”.
Perché bisogna andare a fondo delle cause, bisogna scavare a fondo nelle teste e soprattutto bisogna evitare gli estremismi che spesso vanno a braccetto con le Forze Armate.

Associazioni come “Prima Difesa” fanno paura. Specie nella mitica era dei Social Network.
Per la maleducazione la rabbia di chi amministra questa associazione, per le persone che mettono davanti una divisa per giustificare la definizione “cucciolo di maiale”, insultare una madre che affronta una via crucis infinita e allora una parte di te spera che ci siano altre madri che possano piangere perché i loro “cuccioli di maiale” possano finire soffocati e malmenati, per provare lo stesso dolore della mamma di Federico. Perché qui c’è una madre, un figlio morto, 4 persone fra cui una donna, mi piace ricordarlo, che qualcosa hanno fatto perché due manganelli non si rompono così.
E allora.. dove si va?
Da nessuna parte. Perché il sistema è corrotto, di più, è corroso. Nella parte più importante, nella moralità. Perché non c’è la punizione e nemmeno la rieducazione. Perché grazie a indulti e cazzate varie, un ragazzo di 31anni che nel 2003 ha ucciso e bruciato la fidanzata incinta perché non voleva sposarlo – ci piace ricordare che si chiamava Vanessa – è fuori. Perché grazie a indulti vari, i 4 poliziotti, fra cui una donna, forse mamma, non si faranno nemmeno un giorno di carcere e hanno schiere di “compagni” che li appoggiano e inneggiano.
Ecco, mio padre li chiamava “Gli esaltati”. E lui stesso li odiava.

Perché con le forze armate ho confidenza. E ci credo ancora. Nella moralità no, non più. Da un pezzo.

Che il Market Android sia con te.

La sottoscritta è riuscita a installare tutto, dal kamasutra al calendario del mestruo, a 4 diverse applicazioni per scattare e manipolare foto, contacalorie, assistente alla dieta, rosario buddista, temporizzatore per la meditazione, lightbox per vedere i negativi, post it virtuali, stronzate varie.
Poi stamattina ha deciso di cancellare e formattare la scheda di memoria del cellulare e ha perso con gioia quasi tutto.
E si sente quasi più umana.

A c@**o di cane #1

Il problema non è tanto gestirla, è avercela una famiglia.
Mucca puntuale come il ciclo mestruale, ogni volta che torno dalle ferie, è lì, all’erta, per chiedermi “QuandoCiVediamoQuandoCiVediamoQuandoCiVediamoQuandoCiVediamoQuandoCiVediamo”, ovviamente a carico mio il lato cibarie e affini, e nello stesso istante in cui leggo il messaggio sconvolgente su Facebook, ho una visione, modello Medium, dell’ilare serata a cui sarò sottoposta se dico “si”.
Racconti dei progressi della mia orribile figlioccia.
Aspettative sui souvenir.
Domande retoriche sul “quando ti sposi/quando procrei”.
Solite considerazioni sui mobili del mio salone, dell’Ikea, che grande invenzione e soprattutto la solita constatazione della comodità della poltrona rossa, il suo successivo spostamento e l’accarezzamento del bracciolo per enfatizzare la constatazione della comodità della suddetta poltrona.
Immaginarla seduta contrita sulla mia sedia blu coordinata al tavolo del terrazzo e constatare che – nonostante la mole di grasso – per fortuna non occupo anche lo spazio fra bracciolo e seduta e soffocare la successiva risata dovuta dall’immaginare la scena di lei che si alza con la sedia appiccicata e incastrata al fondoschiena.
Ora, considerando che il mio compleanno si avvicina e che ho già il terrore del “regalo da 5 euro” che in qualche modo dovrò occultare/riciclare/sfruttare per la Tombola degli Orrori di Natale, mi chiedo se è così insensato e poco educato dire “oh, ma perché non te ne stai a casa tua e io a casa mia e proviamo a ignorarci a vicenda?”

Perché mi vergogno di questa Biennale

Quel simpaticone del mio direttore editoriale, colto da berlusconismo acuto, brutta malattia, con una ricaduta nel Rattusismo mi ha bocciato questo articolo… Tié, ciucciatevelo voi!

Che non ami l’arte contemporanea lo sapevamo.
Che la sua sia una nomina inspiegabile, almeno agli addetti ai lavori, lo sapevamo.
Ce lo immaginiamo a urlare “capra, capra, capra” agli artisti che hanno firmato uno splendido documento che attesta l’emergenza culturale che il paese sta affrontando: Cucchi, Jori, Jodice hanno detto “no grazie”, loro, artisti con la A maiuscola.
Il Sindaco di Salemi – filosofo, curatore, critico d’arte, scrittore, presentatore TV, ospite dei Talk Show, seduttore – ha le idee un po’ confuse e forse è un po’ scosso dal recente flop televisivo (che sicuramente ha spinto moltissimi utenti Rai a sottoscrivere la Class Action promossa da Altroconsumo, per mancata fornitura del servizio pubblico), non ha chiaro che si parla di una Biennale d’Arte e non di una polemica contro le pale eoliche.

La nomina di Sgarbi come curatore del Padiglione Italia è stata segnata dai deliri di onnipotenza del Braccio Armato dell’Arte di Berlusconi, che ha minacciato più volte di andarsene – e sicuramente in parecchi hanno sperato che lo facesse davvero – per poi restare miseramente chiedendo, punta massima del delirio, di fare il soprintendente dei Beni Artistici di Venezia (delirio del 19 aprile, poi il mandato ai legali del critico per l’illegittima esclusione la domanda semplice della soprintendente Damiani “scusi, ma i progetti per la Biennale?” che al 26 aprile erano ancora un po’ vaghi).

Ha chiamato a raccolta moltissimi incompetenti ai lavori, scusate, intellettuali (Paolo Mieli, Don Andrea Gallo, Vladimir Luxuria, Lorenzo Zichichi, Mogol, Elio Fiorucci, Ferzan Ozpetek, Franco Battiato e molti altri, fino a Michele Ainis, lista molto lunga e poco comprensibile, che non conta giusto le Arcorine per ragioni ovvie) che hanno suggerito amici e parenti: e non serviva l’articolo di Claudia Colasanti su Il Fatto Quotidiano del 31 maggio per dirci quello che sapevamo: così, questa Biennale, si è trasformata in una farsa artistica.

Così, nella confusione, fra liste false, artisti che interpellati rispondono “ma io non sapevo nemmeno di essere stato invitato”, arriviamo ai “no grazie”, che vedono Ontani, Albanese, Checchini, Riello, che rifiutano proprio il sistema che sta alla base della scelta. Anche i curatori alla fine peccano di superficialità, mancanza di cognizione artistica e puntano solo a far sbancare i loro artisti in Laguna. E’ il caso dello strano trasloco – ben 527 chilometri- di artisti “appartenenti” allo stesso curatore e, possiamo dirlo, alcuni davvero artisticamente inutili.

La Biennale dell’incompetenza, il Padiglione del consenso: vittima sacrificale della politica scellerata di questo governo che punta moltissimo al consenso che passa attraverso televisione e paura, che nemmeno nei punti più bassi della storia si è arrivati a tanto, la metodologia della scelta per favoritismi, amicizie e intrallazzi, tutta italiana appare così legalizzata in una mostra che coinvolge il mondo intero e che ci vede, come al solito, provinciali e fuori luogo.

Un régime che striscia, in sottofondo, ombra che si materializza sul muro con due ritratti che glorificano questa farsa: sono le facce sorridenti di Berlusconi e di Sgarbi, a riassunto di quel giochino di inviti e pudici rifiuti che ha segnato una nomina scellerata che ha portato a una Biennale ridicola, inutile, vergognosa.

C’è da chiedersi dove sia andata a finire quella grande energia artistica che caratterizzava l’Italia che faceva cultura, dove siamo finiti noi italiani, dove son finiti gli intellettuali.

Un filo sottile e una coincidenza lega Venezia alle vicende di Roma: il Macro che finisce nelle mani di un sovrintendente/autore televisivo, di un artista che si firma B.zarro che lo taccia di provincialismo al contrario, che si augura di vederlo come un Salon des Refusés (intervista su Vernissage di Maggio) un ritorno al 1863 per cancellare con un colpo solo un’amministrazione che faceva respirare “aria d’Europa”.

Ora, in finale: perché il mondo della televisione deve invadere quello artistico e portare quella mentalità modello tubo catodico in un mondo che tutto è tranne che tubolare? E in più, una domanda banale: ma possibile che fra tutti gli “addetti ai lavori” non ci sia una persona idonea a curare questi due mondi – Biennale e Macro – con la competenza che ci si aspetta, la professionalità, l’intelligenza e il saper fare artistico?
Ed ecco qua: 200 opere, binari, artisti immeritevoli.
Ricordate di portare la ricevuta per ritirare la vostra buona dose di schifo e indignazione alla Lavanderia Padiglione Italia.

Souvenir dal Festival Internazionale del Giornalismo.

sto usando un computer di uno che non conosco per fingere di star lavorando dato che a quelli delle iene serviva registrare una parte della puntata sul festival. chiunque tu sia, grazie per avermi inconsapevolmente permesso di usare questo mac, l’ho trattato bene, come se fosse un figlio. Magari un giorno avrò anche io un mac come questo e non sarà più necessario fingere di averlo. Ora la registrazione sembra che stia per finire adtrucncmdidicc <——- qui non sapevo più cosa fingere di scrivere e ho schiacciato tasti a caso. Insomma qui ora noi dobbiamo, appena il tipo delle iene dice "internet", girarci verso la telecamera e alzare il pollice tenendo la faccia seria. impossibile insomma. certo che sdvkjshdvnchfudjfurhtyghfnchfbdsgsushryfg. ancora non sapevo che scrivere, qui viene per le lunghe, non va mai bene come alziamo il pollice. il regista dice che dobbiamo "ammiccare" di più. trovo questa cosa molto assurda, la televisione è finissima in queste cose! tu che ne pensi? mille scene per girare poi un pezzo di, quanto sarà? un minuto? ci stiamo mettendo più di un quarto d'ora!
qui sto scrivendo un papiro, se sei arrivato a leggere fino qui……. non so che dirti… boh, ho esaurito gli argomenti, devo solo continuare a scrivere per fingere e fingere e fingere e fingere. non lo rileggo nemmeno, temo sia altamente sgrammaticato tutto ciò. "ricordatevi su internet, ammiccanti!" fa il regista. ecco ora che quello delle iene ha sbagliato per l'ennesima volta la sua battuta e non sa come continuare, forse ora! dhfivc. altro errore, stavolta dei cameraman, boh sdjvhehhfguchhfuuryfhcidkfjtughcy. ennesima ripresa, ora il problema era che non siamo troppo decisi quando alziamo il pollice, ti pare? assurderrimo!! ora!! fhg ULTIMISSIMA dice il regista, speriamo sia vero perché sono stufo di scrivere calzate! la correzione automatica ha scritto calzate3 e non calzate boh!! fa un po' ridere! ora! hfuudyrhfhy chi alci fh cnhgyrtiufhncbv ghfn. forse abbiamo finito, così la smetto di usurpare il tuo mac! fine! ok, applauso, ciao!!!

Se non ora quando? Forse avremmo dovuto farlo tanto tempo fa.

E ci risiamo.
Arriva la Festa delle Donne.
Abbiamo feste per tutto, per i single, per il gatto – nero e a colori vari – per i nonni e per l’Unità d’Italia.
Riusciamo a piegare una data qualsiasi per celebrare qualcosa che poi, realmente, non ha motivo d’essere festeggiata.
Ci risiamo. Ma quest’anno, invece di festeggiare la ritrovata libertà sessuale delle donne, andando a infilare soldi nel perizoma sempre troppo stretto di quell’oggetto chiamato uomo, scambiarci mimose, radunare piccoli eserciti di donne intorno a tavoli di ristoranti da menù speciali, quest’anno scenderemo in piazza a dire che il nostro corpo, no, non è merce.

Scusatemi, io, femmina, mi sono rotta le palle.

Quest’anno si scenderà in piazza indignate perché, come succede da sempre, il potere è legato a doppio filo con una cosa chiamata “sesso”.
Il Premier, quello che ci siamo scelti, ama quella cosa lì. Ma tanto. Piace a lui, piaceva agli altri prima di lui. Ai mariti, ai fidanzati. E’ inutile, oltre ad essere biologico, viviamo bombardati da immagini che ce lo evocano.
E sinceramente, quello che mi arriva da questa storia è solo un sorriso amaro.
Ci meritiamo tutto questo. Ce lo siamo scelto. E non è colpa della televisione, non è colpa dei suoi canali. Perché abbiamo potere di scelta. Non avere la TV in casa, per esempio. Non guardare le sue TV per esempio.
Potremmo uscire e andare a vedere altro. Il cinema per esempio. Uno spettacolo o una mostra. Ma non lo facciamo.

Adesso siamo qui, a pochi giorni dall’8 marzo e siamo tutte pronte a scendere in piazza perché noi, non siamo come Ruby.

Non me ne frega niente di Ruby. Nemmeno delle “Arcore’s Night”.
Non me ne frega poi tanto se negli atti il certificato di nascita di Ruby c’è o non c’è, se qualcuno ha già fatto sparire certi documenti per piazzarne altri e pagato il silenzio dei genitori poveri diavoli.

Quello per cui le donne si indignano non è lo stupro della ragazza spagnola che giustamente dice “me ne voglio andare dall’Italia”. Le donne non si indignano per la legge sulla fecondazione assistita, che fa contenti il Papa e i Cardinali, ma non i malati. Le donne non sono scese in piazza contro il Papa che ha detto che spesso ci costringono con informazioni sbagliate sull’aborto. Noi non ci scandalizziamo quando, per fare un figlio, perdiamo il lavoro che abbiamo conquistato con fatica. Scendere in piazza contro Ruby, o Nicole, o Imma e Noemi, non serve. Perché non c’è nulla di che indignarsi. Hanno scelto quella via più facile per “sistemarsi” perché non hanno poi altro da poter fare. Hanno voglia di salvarsi, come tanti, maschi e femmine, che cercano un appiglio sicuro a cui legarsi e galleggiare. Galleggiano.

Io mi incazzo quando una donna chiusa in una cella viene stuprata da quattro appartenenti alle forze dell’ordine che dicono “ma era consenziente!” solo perché non hanno lasciato lividi addosso. Mi incazzo quando sul bus il vecchietto con finta ingenuità mi mette la mano sul culo e tutti vedono e nessuno fa nulla. Mi incazzo quando il corpo delle donne viene considerato alla stregua di una Real Doll calda, parlante e altamente snodata. Quando il mio cervello non è nella scatola cranica ma nelle tette, ben ripartito fra le due. Quando per certi uomini io sono una taglia 48, non una specialista in un settore. Quando le istituzioni che mi dovrebbero tutelare, pensano ad attaccarsi non per temi sociali e utili, ma per donne, come se fossimo ancora a Troia.
Il problema è che di “troiane” ce ne sono tantissime e che non si può fare nemmeno più affidamento sul fatto che, a lungo termine, la bravura verrà premiata. Quelle persone se la caveranno sempre perché prima di loro ci sono persone che se la sono sempre cavata e che l’hanno “sfangata” senza essersi sforzati più di tanto e questa tolleranza della stupidità ha generato un mostro talmente grosso che adesso è fuori controllo.

Questa pochezza nel sentire, nel fare, ha creato due italiani: non sono “quelli del nord” e “quelli del sud”. Sono quelli che hanno “sfangato” il problema della casa, della macchina, dell’iPhone, e quelli che sono incazzati neri. Perché una casa non ce l’hanno e non arrivano a fine mese, che sono a casa, senza lavoro. Che lavorano in nero. Che sono bravi e che non riescono a trovare una giusta collocazione. Che sognano una politica sociale. Quelli che occupano le case o vanno alla mensa dei poveri. Quelli che la crisi c’è sempre stata e sempre ci sarà.
Dovremmo scendere in piazza per gridare la nostra rabbia verso una classe dirigente che “tira a campare”, smantellare questo sistema, gridare e invocare dignità e forza, carisma e volontà.
Ma siamo pochi.
Una parte delle mie simili scenderà in piazza per dirsi “offesa” da Ruby.
Una parte per dire “dimettiti”.
Ma tanti, tantissimi, sono lì a sperare di farne parte, sperano di esserci in questo grande monopoli dell’Italia. Sistemarsi con poca fatica, per tanto tempo, e che importa di quello che ho dovuto ingoiare.
Basta sfangarla.